Claudio Roe

Autore & Sceneggiatore

Che cos’è per te il talento?

Il talento è qualcosa di innato che si trova dentro ognuno di noi. Un dono. Un’esigenza. Nasce e cresce con la persona stessa, fa parte del suo DNA. Non credo tanto al fatto che il talento si possa costruire a tavolino. Lo si può potenziare, certamente, attraverso un percorso formativo. Ma alla fine o ce l’hai o non ce l’hai. Ovviamente non parlo in termini assoluti, ma su uno specifico ambito. Tutti noi ne abbiamo almeno uno. Anzi, ti dirò, penso di aver trovato una personale formula per scoprirlo, che mi convince. Bisogna chiedersi, anche ora che siamo adulti: ‘che cosa mi piaceva fare quand’ero bambino?’. A quell’età la spontaneità ha la meglio sulle sovrastrutture razionali e sociali. Se ripenso a quand’ero piccolo, lo spettacolo, il cosiddetto entertainment mi ha sempre attratto. Tra le varie cose ad esempio mi piaceva il ballo, anche se non ho mai avuto l’opportunità di coltivarlo. Tu dirai perché oggi non sono un ballerino. Perché in realtà lì dentro c’era la voglia di esprimere e rappresentare il mio mondo. Cosa che oggi faccio attraverso le mie storie, o meglio attraverso quello che è diventato il mio lavoro. Ma attenzione: il talento non è un mestiere, il talento è una missione. O meglio, come dicevo all’inizio, un’esigenza.

I valori per te irrinunciabili (in ordine d’importanza)

Il primo valore essenziale è esprimere se stessi nell’autenticità. Perché, per me, è la massima espressione del benessere di ogni individuo. Attraverso la propria autenticità si esprime la persona nella sua completezza. È luce. Il secondo valore in ordine di importanza è il rispetto nei confronti degli altri. Probabilmente se tutti rispettassimo questi due valori, molte problematiche quotidiane, ma anche molti conflitti a livello mondiale non esisterebbero.

Di cosa ti occupi attualmente?

Sono un autore e sceneggiatore per il web e per il cinema. Scrivo film, sitcom, web series, etc. Anche se onestamente mi reputo più un autore. Che significa essere autore per me? Per certi versi è un po’ come giocare ad essere un Dio che crea i suoi mondi, le sue storie e i suoi personaggi. E come in tutte le sceneggiature che si rispettino, tutto ha un senso. A partire dalle tematiche affrontate fino ad arrivare agli epiloghi delle storie: riguardano quasi sempre me stesso, la mia vita di oggi, quello che ho vissuto durante la mia adolescenza o a volte anche quello che vivrò. La scrittura per me ha qualcosa di magico, si muovono forze interiori incredibili, e non ti dico i conflitti… lì dentro (la testa) stanno sempre a litigare (ride, ndr).

Che percorso hai seguito fino ad oggi?

Un percorso un po’ contorto direi. Sono un ragioniere pentito, anche se poi in questa vita tutto fa esperienza. Ho studiato economia all’università, lavorato come consulente aziendale. Ho fatto anche il programmatore informatico. Ma niente di tutto questo mi apparteneva. Sono entrato in crisi. Fino a che un giorno ho deciso che avrei seguito un’altra strada: la mia. Mi sono iscritto al DASS (Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo) e ho cominciato a lavorare per una società di produzione cinematografica. Nel 2009 ho avuto la fortuna di frequentare il corso RAI-Script dove mi sono formato come sceneggiatore. Ma la prima vera opportunità è scattata nel 2010. In un periodo incerto della mia vita professionale, tra cambi di società e
datori di lavoro che fuggono all’estero a causa dei debiti, ho scritto una sitcom dal titolo “The Eves – Life without Adam“. Grazie ad una persona speciale, nonché mio agente Simone Morandi, decido di partecipare al Roma Fiction Fest nella categoria Pitching. La storia narra di un gruppo di femministe che, alla fine degli anni ’60, decide di imbarcarsi su una astronave e auto-esiliarsi dalla Terra. L’obiettivo è quello di dimostrare al “maschio” dominatore che anche le donne possono essere indipendenti e autosufficienti, al grido di “l’utero è mio e me lo gestisco io!”. Morale della favola: vinti due premi su due, arrivando davanti a un progetto presentato dalla casa di produzione di Lars Von Trier e con il plauso della presidentessa di giuria, nonché vicepresidente della HBO Maria Zuckerman. Dopo la vittoria al festival sono stato contattato dalla Ciao Ragazzi, la società di produzione di Claudia Mori (moglie di Adriano Celentano) con cui ho sviluppato la serie. Un’amara gratificazione, visto che purtroppo ad oggi non è stata realizzata. Ma si sa, in Italia le cose vanno per le lunghe. Ma comunque sia, è stata una botta di autostima, un importante riconoscimento che ha dato il via alla mia professione e le cose che ho fatto successivamente.

Qual è stato il momento significativo che ti ha permesso di scegliere la tua strada?

Più che momento, è stato un periodo. Intenso e molto formativo. Ho ascoltato me stesso e ho capito che non ero felice. Sai, a volte bisogna farlo, guardarsi allo specchio e chiederselo. E quando la risposta è no bisogna fare qualcosa, agire con coraggio. Quando prima parlavo di autenticità mi riferivo proprio a questo. A livello psicologico, personale, questo periodo mi ha portato ad accettare la mia autenticità e decidere di seguirla fino in fondo. Ho usato l'”arma” della poesia come ricerca del mio universo, come strumento di narrazione autobiografica. Ogni volta era un pugno allo stomaco. Emozione vivida, carnale, sofferente. Ma che alla fine mi ha permesso questa rivoluzione personale e di essere quello che sono oggi. Felice e sulla retta via (ride, ndr).

Qual è stato il progetto che ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Sicuramente The Eves – Life without Adam. Ha vinto due premi al Roma Fiction Fest e non potevo chiedere di più. Ma siccome sono un inguaribile ottimista che pensa sempre in prospettiva, dico un’altra cosa: il miglior progetto deve ancora venire.

Sei un grande amante del cinema. Scommetteresti sulla web series come format?

Beh, quest’anno ho già scommesso assieme a due formidabili partner come Francesco Pasqua e Gianluca Mangiasciutti in una web series comedy. La potenzialità di questo format è immensa. Se pensi, un video su Youtube o altro canale internet può essere visto da chiunque e in qualsiasi momento. Il web ha un linguaggio veloce e dinamico. Se dovessi pensare di sperimentare nuovi linguaggi, io punterei sull’interattività. Vorrei che l’utente facesse parte della storia e fosse coinvolto più attivamente. Più di come già avviene. Ancora devo
capire bene come, ma ci sto lavorando. Quindi, web series tutta la vita, senza tradire mai l’amore per il cinema.

Come ti vedi tra 10 anni?

Ti posso dire come mi immagino fra 3. La mia convinzione è che intorno ai 38 anni ci sarà un turning point nella mia vita. E una realizzazione piena continuando a fare questo mestiere. Tra 10 quindi potrei benissimo vedermi continuare fare questo, o comunque qualcosa sempre nell’ambito dell’intrattenimento che possa far esprimere me stesso. Vedi mai torni in auge il ballerino che è in me. Tra 30 anni, invece, mi vedo insegnare alle giovani leve quello che sarò riuscito ad ottenere. L’idea di trasmettere le mie esperienze alle giovani generazioni mi dà serenità. Vorrei contribuire anch’io, nel mio piccolo, a scoprire le loro autenticità.

Come immagini la società italiana tra 10 anni?

Onestamente immagino, e mi auguro, una società più evoluta sui diritti civili e sull’ecologia. Con i soliti “furbetti del quartierino Italia” ridimensionati o a fare qualche lavoro socialmente utile. Malgrado tutto però, la mia è una visione ottimistica. No, direi fiduciosa. Anzi, di fede.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *