Come saltare da un lavoro all’altro

Ti è mai capitato di desiderare di cambiare lavoro perché la routine quotidiana non ti offre più motivazioni e prospettive di crescita? Oppure perché percepisci che il tuo potenziale rimane inespresso e trascurato? Se sì, è tutto nella norma. Stai semplicemente attraversando una fase comune a tante persone che, dopo un po’ di tempo, sentono l’esigenza di abbracciare altre sfide che possano riaccendere le motivazioni e le passioni più profonde. Ci troviamo in un’epoca in cui, mai come ora, siamo esposti ad una serie potenzialmente infinita di stimoli ed offerte che, a volte ci distraggono, altre volte ci rigenerano. Dipende tutto dal punto di vista da cui si osservano i fenomeni.

Dagli USA arriva un fenomeno denominato Job Hopping che si traduce per lo più nella pratica di “saltare da un lavoro all’altro” con una frequenza elevata. Secondo uno studio condotto dall’agenzia Robert Half, circa il 64% dei lavoratori negli Stati Uniti appartiene alla fascia dei job hoppers. In crescita del 22% rispetto a quattro anni fa. Le conclusioni addotte dalla ricerca spiegano che cambiare lavoro molto spesso (all’incirca ogni 2 anni) contribuisce a conseguire stipendi più alti, ma soprattutto riduce lo stress e aiuta a ritrovare entusiasmo e motivazione nell’affrontare le sfide del quotidiano. Molto diffuso tra i Millennials (i nati dal 1982 al 2000) che, negli Stati Uniti, cambiano quasi  3 posti di lavoro nei primi 5 anni post-laurea, contro l’1,6 della generazione precedente.

E in Italia come si innesta questa tendenza verso l'”infedeltà” aziendale? La ricerca evidenzia come il fenomeno non sia direttamente collegato alla diffusione della precarietà che costringe i giovani e meno giovani a reinventarsi continuamente.  Siamo piuttosto in presenza di lavoratori che non seguono più una traiettoria lineare dalla scuola fino alla pensione. È la fedeltà ad essere venuta meno oppure si tratta di un nuovo patto del lavoro? Emerge la necessità di una crescita personale e professionale dove solo mettendosi in discussione in situazioni diverse, sperimentando nuove sfide e acquisendo nuove competenze può concretizzarsi il salto in modo sostenibile. Ciò che guida le scelte dei job hoppers è, al contempo, causa ed effetto dei processi d’innovazione su scala globale: sviluppo tecnologico, nuovi stili di vita, nuovi valori, work-life balance, incertezza, disorientamento, dissolvimento del welfare state, preminenza delle competenze trasversali nel ruolo professionale.

Siamo pronti culturalmente ad affrontare questo trend che altera gli equilibri (già precari) del nostro mercato del lavoro? D’altronde la scala dei valori è cambiata drasticamente rispetto a 10-20 anni fa. Per le nuove generazioni le priorità sono altre. I valori e i bisogni di riferimento sono cambiati in una direzione che per certi versi è diametralmente opposta. Carriera, successo, competizione, organizzazione gerarchica e iper-specializzazione non sono più totem imprescindibili di riferimento nel percorso di vita e di lavoro.
Stiamo assistendo, a livello mondiale, ad un ribaltamento di prospettive in cui i nuovi protagonisti prediligono stili di vita all’insegna della collaborazione, del multi-skilling, della solidarietà, del rispetto dell’ambiente e di nuovi stili di vita che conciliano tempi di lavoro e tempi di vita.

In molti casi le aziende sembrano impreparate ad affrontare questo cambiamento epocale, ancorate al vecchio paradigma industriale di stampo taylor-fordista, sono rimaste ferme agli anni in cui le prospettive di crescita erano considerate infinite, l’innovazione non era così pervasiva come oggi e chi sceglieva un percorso di carriera lo seguiva per tutta la vita. In sostanza, si ostinano ad affrontare le nuove sfide con i vecchi arnesi. Da qui, probabilmente, nasce il contrasto, e il conseguente mismatching, tra aziende e talenti che finiscono per parlare lingue diverse, destinati così a non incontrarsi. Nell’era della Open Talent Economy (economia dei talenti aperti), le organizzazioni più all’avanguardia stanno sperimentando nuovi modelli organizzativi e nuovi modi per attingere alle risorse provenienti dall’esterno. Fenomeni come il Talent Swap ovvero lo scambio di talenti con altre organizzazioni nel mondo digital e open innovation, garantiscono l’acquisizione di nuove competenze in maniera rapida attraverso un ecosistema sempre più aperto e interconnesso.

Come sfruttare allora il potenziale intrinseco del job hopping in un Paese come l’Italia storicamente avverso alle novità?
Come utilizzare le opportunità che un più elevato turnover offre alle organizzazioni?
Iniziative come quelle promosse da Unilever ci dimostrano come l’Open Innovation stia modificando il concetto di gestione e condivisione del capitale umano lungo le filiere aziendali.

Quali sono le criticità del mercato del lavoro italiano di fronte a questa nuova tendenza?

Mettere al centro di qualsivoglia progetto di cambiamento i nostri usi e costumi. La valorizzazione dei tratti culturali che ci contraddistinguono, non del loro stravolgimento. Pensare di attuare il cambiamento senza tener conto di questi aspetti squisitamente culturali potrebbe rivelarsi un boomerang. L’Italia è il Paese dei club, delle proloco, delle associazioni, delle cooperative, delle sezioni, delle famiglie ristrette e allargate, delle comitive di quartiere, degli amici al baretto, dei gruppi del fantacalcio, delle parrocchie e dei variegati centri di aggregazione. Queste sono le dimensioni in cui le relazioni sociali attecchiscono, prolificano e si sentono a loro agio. Perché, allora, non creare strutture siffatte, rivisitate e ammodernate in chiave postmoderna, per risolvere il problema delle transizioni nel mondo del lavoro

Ma siamo sicuri che nella sharing economy con gli strumenti attuali si riesca ad intercettare appieno il capitale umano di cui abbisognano le imprese per crescere ed innovare? Staremo a vedere. Nel frattempo noi vogliamo fare del talento un bene comune da condividere socialmente, consapevoli che il lavoro nel futuro si baserà sulla valorizzazione del talento non più considerato come minaccia nel comportamento organizzativo, bensì come opportunità per ridisegnare prospettive di crescita.

1 commento su “Come saltare da un lavoro all’altro”

  1. Cambiare percorso di carriera sicuramente puo far paura e implica delle valide ragioni, ma non e sempre controproducente come si crede. Quando si trova un lavoro piu stimolante, in una realta che punta alla crescita dei dipendenti, cambiare lavoro puo essere la scelta vincente. DARE UN NUOVO IMPULSO ALLA CARRIERA : fare carriera all’interno della stessa organizzazione e spesso un percorso lungo e complesso. In molti casi il cui successo non dipende soltanto dalle proprie capacita ma anche dalle possibilita

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