Il termine ozio era espresso dai Greci con la parola σχολή (Scholḗ) che, secondo un’interpretazione etimologica, significava inizialmente “tempo libero” per cui l’ozio indicherebbe il possedere del tempo da usare in attività disinteressate come lo studio con senz’altro fine che la conoscenza o la contemplazione intima di se stessi.
Nell’antichità romana il termine indicava un periodo di tempo libero dagli affari (negotia) pubblici o politici in cui ci si poteva dedicare a un’occupazione che riguardasse lo studio (otium litteratum) o il soddisfacimento degli propri impegni domestici o della cura del proprio patrimonio.
Per Catone il vecchio (234–149 a.C.), al quale viene attribuito il detto «l’ozio è il padre dei vizi», l’otium che non va confuso, con la inertia, ossia l’assenza di ogni ars (arte) e neppure con la desidia (pigrizia), ossia lo “star sempre seduti“, è la migliore espressione delle antiche virtù romane, l’operosità, in primo luogo, incarnate dal mos maiorum (usanza degli antenati). Catone infatti, che avrebbe voluto che il foro fosse lastricato di pietre aguzze per non far sostare i passanti romani a chiacchierare pigramente come fanno a dismisura i greci, loro si, oziosi, è convinto che:
«Dagli uomini grandi ci si aspetta che sia grande non solo il loro modo di esercitare negotia, ma anche quello di comportarsi negli otia.»
Marzo 2020. L’Italia e il Mondo si fermano a causa della pandemia Covid-19. In quarantena, dentro casa, un po’ tutti abbiamo provato le stesse sensazioni: incertezza, smarrimento e senso d’impotenza. Tutto d’un tratto, privati della nostra libertà, siamo stati costretti a rivisitare le nostre prospettive e cambiare il modo di organizzare le nostre attività. Tutto lo spettro delle abitudini consolidate è stato spazzato via da un evento inatteso quanto pericoloso. La pandemia globale ci ha spinto, velocemente, a ripensare a nuove forme e modelli di organizzazione del lavoro e di vita quotidiana. La classica dimensione dello spazio-tempo a cui eravamo assuefatti si è destrutturata in un men che non si dica, costringendoci a mettere da parte vecchi alibi e italiche pigrizie per sopravvivere al meglio in questa delicata e surreale fase post-covid. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Dalla crisi nascono le opportunità. È stata l’occasione, infatti, in cui abbiamo rispolverato “vecchie” idee sparse nei cassetti che fino a poco tempo fa sembravano utopie irrealizzabili. Fra tutte, l’ozio creativo è sicuramente quella più suggestiva e funzionale allo scenario che stiamo attraversando.
L’ozio creativo è un concetto formulato dal sociologo Domenico De Masi, autore del medesimo libro (SuperBur, 1995), che delinea i tratti essenziali della cosiddetta società post-industriale: lavoro, studio e gioco si confondono. Questa fusione genera l’ozio creativo. Una situazione in cui si lavora senza accorgersi di farlo. Imparando l’arte dell’ozio creativo riusciamo a mescolare il piacere del gioco con il “dovere” dello studio e del lavoro, fino a farli diventare un tutt’uno in cui proprio perché si perdono i confini, si annulla la componente faticosa del lavoro e si recupera la componente creativa e utilitaristica della creatività derivante dal piacere del gioco. A maggior ragione oggi che il lavoro è stato trasformato dall’avanzamento dell’intelligenza artificiale in cui le macchine compiono le mansioni più faticose e routinarie.
Su questa traiettoria argomentativa s’innesta il valore unico che uno spazio di condivisione per eccellenza come il coworking potrebbe apportare. In questo senso, il coworking rappresenta l’ambiente fisico ideale per realizzare nella pratica il concetto “teorico” sopra espresso. Si tratta di un’aggregazione sociale di un gruppo di persone che lavorano in modo indipendente, ma che condividono spazi, valori e saperi e sono interessati alla sinergia e alla convivialità che può avvenire lavorando a contatto con altre persone di talento. Nel momento in cui la tecnologia si sviluppa in modo esponenziale, nel bene o nel male, abbiamo il dovere morale e l’esigenza funzionale di ritornare a mettere al centro l’essere umano come protagonista del proprio destino. Di riappropriarci dei nostri spazi fisici e di rigenerali per scopi sociali più alti. Al di là della pandemia, abbiamo l’opportunità di costruire il futuro e il benessere. Insieme.