Che cos’è il talento? Si può parlare di talento innato nell’uomo o si tratta di un’invenzione sociale? Come nasce e si sviluppa il talento in relazione all’ambiente circostante? Queste, e molte altre domande ardite, impegnano la nostra mente alla ricerca di soluzioni possibili per leggere e interpretare un fenomeno così complesso e imprevedibile che, secondo la definizione dell’enciclopedia libera (wikipedia) è:
“ l’inclinazione naturale di una persona a fare bene una certa attività”.
È possibile prendere in considerazione l’ipotesi per cui le condizioni ambientali e le contingenze storico-sociali di un’epoca plasmano le inclinazioni naturali delle persone a fare bene certe attività, trasformandole in manifestazioni specie-specifiche che si adattano all’ambiente e all’evoluzione storico-culturale delle società umane.
Un talento calcistico come Maradona, per citare un caso come tanti, sarebbe stato impensabile nel corso del XV secolo. Il calcio in Sudamerica fu esportato verso la fine del XIX secolo dagli inglesi in piena espansione coloniale al pari di altri prodotti come i tessuti, le ferrovie, i prestiti bancari. A cavallo del ‘400 non era ancora stato inventato il gioco del calcio come noi oggi lo conosciamo, sebbene le origini siano antichissime. Non esisteva neanche la stratosferica “football factory globale” capace ogni anno di sfornare giocatori, eventi e competizioni in ogni angolo del pianeta.
Tracce di giochi simili sono rinvenibili verso la fine dell’ XI secolo A.C. in Giappone e in Cina dove era molto diffuso il Tsu-chu (trad. palla di cuoio sospinta dal piede). Presso i Greci nel IX secolo A.C. si praticava la Sferomachia che adottato dai Romani prese il nome di Harpastum (trad. strappare con la forza). Per non parlare del calcio storico fiorentino (in verità più simile al rugby), le cui origini si situano nel periodo tardo medioevale e, secondo alcune fonti tradizionali, si dice che sia il discendente diretto del gioco romano diffuso dai legionari nelle varie zone dell’Impero. È a partire dal 1848, all’Università di Cambridge, che vennero stilate ufficialmente le regole basilari del moderno football, dette anche Regole di Cambridge che in parte sopravvivono ancora oggi.
Non è certo questa la sede per ripercorrere la storia del calcio né di elevare Maradona a totem del talento, ma il riferimento al caso emblematico serve come spunto utile per leggere e decodificare l’influenza che le variabili strategiche contestuali esercitano nella formazione del nostro talento personale.
Detto in questi termini, ci porta ad avanzare una più esaustiva definizione del fenomeno:
“Il talento è l’inclinazione naturale di una persona a fare bene una certa attività, che nasce e si sviluppa nel rapporto con l’ambiente in un processo circolare e ricorsivo regolato da meccanismi di feedback”.
Detto in altri termini, vuol dire che, se la nostra inclinazione naturale non si adatterà alle mutevoli condizioni ambientali e non saprà cogliere le opportunità offerte dalla contingenza storico-sociale, molto probabilmente non avrà successo. E per contrastare questo esito e “sopravvivere”, dunque, il nostro talento andrà alla ricerca di tutti quegli interpretanti socio-culturali che lo metteranno in condizione di manifestare al meglio le proprie potenzialità. Esiste uno stretto legame, circolare, tra l’inclinazione naturale di una persona, l’attività concreta che funge da interpretante e il contesto mutevole che mette a disposizione risorse e opportunità.
Nel caso “Maradona” l’interpretante socio-culturale è stato il gioco del calcio, ovvero un’attività concreta in forte crescita negli anni ’80-90 del secolo scorso, in un contesto globale di espansione dell’industria del football in concomitanza con la diffusione capillare dei network mediali. Specifiche variabili contestuali entrano in gioco e plasmano la formazione e lo sviluppo del talento personale.
Ma Maradona, qualora avesse intrapreso un’altra attività, avrebbe ottenuto lo stesso successo? Forse si, probabilmente no, non lo potremo mai sapere con certezza. Quello che sappiamo con certezza, invece, è che l’inclinazione naturale dell’argentino in quel periodo ben si sposava con l’attività calcistica. Una fortunata combinazione di variabili contestuali e fattori personali hanno creato e determinato il caso. Così si ritorna al punto di partenza. Che cos’è l’inclinazione naturale di una persona?
L’inclinazione naturale di una persona, che noi preferiamo chiamarla col nome di talento primario, è:
Un dispositivo specie-specifico del nostro repertorio comportamentale che si attiva automaticamente per orientarci nel mondo circostante, sotto forma di azioni adattive di ritorno alle informazioni provenienti dall’ambiente.
È il modo in cui scambiamo con l’ambiente che qualifica l’azione adattiva di ritorno e ci permette di scegliere quella che si presta meglio delle altre a raggiungere i nostri obiettivi, impliciti ed espliciti. Quell’azione adattiva di ritorno (feedback) assume dei tratti identitari e si stabilizza come variabile fondamentale del sistema persona. Si sviluppa nei flussi ricorsivi e circolari di feedback che si instaurano tra l’individuo e l’ambiente durante il corso della vita. E ci spinge ad agire in un certo modo di fronte alle situazioni. Nell’ambito dell’attività di scoperta, è la prima traccia manifesta che dobbiamo identificare per raccogliere le informazioni preliminari sul “materiale grezzo”.
Il talento primario è una risorsa interna che si mette a nostra disposizione. È autonoma e svincolata da qualsiasi contesto sociale e culturale. Da Roma a New York passando per Dubai, a cena al ristorante sui banchi di scuola fino al lavoro o al cinema con gli amici, si manifesterà per quello che è, sempre e comunque. In questo senso ha una natura indomabile ed egoistica. Spinge per venire fuori ed esprimere le sue potenzialità, non curandosi degli effetti che le sue azioni provocano intorno. Al contempo, però, il nostro talento primario individuale viene plasmato dalle pressioni delle variabili contestuali entrando in una fase di negoziazione-conflitto in cui non sempre riesce a trovare la mediazione con l’interpretante adatto al suo sviluppo. In questa situazione si disperde, si reprime e, come si può facilmente intuire, si spreca. In questa fase di transizione perciò si deve procedere con una buona dose di attenzione, con un lavoro certosino, accompagnando la persona verso la trasformazione consapevole e sostenibile.
Il talento sociale è il prodotto della mediazione tra il talento primario individuale e le variabili dell’ambiente socio-culturale.
Quando si verifica ciò, il talento assume una natura sociale e cooperativa e favorisce lo sviluppo dell’intera comunità.
Il talento primario di Maradona, per ricollegarsi al caso scelto in questo articolo, non fu il calcio che, invece, svolse il ruolo di interpretante socio-culturale. Il calcio piuttosto fu l’attività concreta in cui manifestò il suo talento sociale, frutto dell’incontro tra il dispositivo comportamentale e le variabili contestuali (espansione dell’industria calcistica e dei network mediali, migrazione in Europa di Maradona, diffusione di massa del calcio in Argentina, etc.).
A questo punto è lecito domandarsi: come si fa a identificare e quali sono questi talenti primari del nostro repertorio comportamentale che lasciano tracce manifeste da raccogliere per ottenere le informazioni preliminari sul materiale grezzo da trasformare in talento sociale?
Secondo il modello Homo Talent sono cinque:
• Esplorazione
• Costruzione
• Gestione
• Comunicazione
• Relazione
Senza entrare nel merito dei cinque dispositivi sopraelencati, che verranno trattati e approfonditi in pubblicazioni successive, è utile ora soffermarsi sulle modalità e gli strumenti di rilevazione, scoperta e sviluppo del nostro talento primario.